
Esperienza lavorativa: quanto conta davvero per essere assunti?
Quando leggiamo un annuncio di lavoro, uno dei requisiti richiesti che non manca quasi mai è sicuramente l’esperienza lavorativa. Proprio per questo molti giovani neolaureati o neodiplomati, che vogliono affacciarsi per la prima volta nel mondo del lavoro, incontrano notevoli difficoltà nel momento in cui effettuano questa prima ricerca.
Le conoscenze acquisite durante un percorso accademico, infatti, spesso non sono sufficienti per i datori di lavoro che cercano risorse già formate e già pronte ad ottenere determinati risultati. Non a caso, nella maggior parte degli annunci di lavoro è richiesta una minima esperienza nel ruolo e nel settore, in altri invece sono necessarie addirittura esperienze in ruoli analoghi di almeno 2, 3 o 5 anni. Ovviamente i candidati che non hanno, nel loro curriculum vitae, precedenti esperienze lavorative, non hanno la possibilità di essere presi in considerazione. Peggio ancora, ci si imbatte in annunci rivolti a giovani neo-laureati o diplomati e sono paradossalmente richiesti già anni di esperienza alle spalle.
Non bisogna fare, però, di tutta l’erba un fascio.
Prima di tutto bisogna effettuare ricerche accurate per trovare aziende in cerca di nuovi profili anche senza esperienza e magari proprio in quei ruoli che più si allineano alle proprie caratteristiche. I datori di lavoro sanno bene che risorse inesperte ma con le giuste attitudini e le necessarie motivazioni, possono rappresentare un valore aggiunto da inserire in azienda.
Dunque, se da un lato, una risorsa esperta è più affidabile e mostra la capacità di risolvere in breve tempo problematiche già affrontate in passato, è vero anche che i profili con maggiore esperienza lavorativa, a volte mancano di flessibilità e quindi riscontrano maggiori difficoltà ad adattarsi a nuove dinamiche aziendali o in generale alle nuove esigenze del mercato del lavoro.
L’esperienza, infatti, soprattutto se acquisita attraverso un percorso troppo rigido, può limitare la creatività e di conseguenza influire sulle capacità di problem solving.
Gli “inesperti”, invece, se stimolati con adeguati percorsi di formazione, possono far emergere il proprio talento e ottenere migliori risultati. Una buona dose di determinazione, unita alla curiosità di sperimentare, consente di trovare soluzioni nuove, alternative, e magari più efficaci. Un’altra fase che porta ad un ulteriore miglioramento è appunto la disponibilità a sperimentare, senza aver paura di sbagliare e soprattutto traendo insegnamenti dagli eventuali errori. A volte proprio gli sbagli permettono ai veri talenti di emergere e risolvere così in maniera del tutto originale un problema esistente. Le competenze che si acquisiscono dopo un processo cognitivo autonomo e non imposte per induzione, sono quelle che restano più impresse e si consolidano nel tempo. A pensarci, sono proprio i tentativi e gli errori ripetuti fino alla scoperta della soluzione più innovativa che hanno permesso alla nostra società di andare avanti nel progresso.
Il successo, infatti, spesso non emerge da percorsi tradizionali; abbiamo innumerevoli esempi di persone di successo che hanno inventato oggetti e metodologie che hanno cambiato la nostra vita quotidiana e che , quando hanno partecipato a selezioni “tradizionali”, sono stati scartati!
I fallimenti passati non devono demoralizzare, ma anzi, devono fungere da stimolo per migliorare, fino a raggiungere quel livello d’eccellenza e unicità che ci distingua da tutti gli altri.
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